Prot. n. 
5657                                     
         Roma, 15 luglio 
2004
                                                                 
Segretariato generale
                                                                 
Roma
                                                                 
Alle Amministrazioni dello Stato anche 
                                                                 
ad ordinamento autonomo
                                                                 
Loro Sedi
                                                                 
Al Consiglio di Stato
                                                                 
Ufficio del Segretario generale
                                                                 
Roma
                                                                 
Alla Corte dei Conti
                                                                 
Ufficio del Segretario generale
                                                                 
Roma
                                                                 
All’Avvocatura generale dello Stato
                                                                 
Ufficio del Segretario generale
                                                                 
Roma
 
                                                                 
Alle Agenzie
                                                                 
Loro Sedi
                                                                 All’ARAN 
                                                                 
Roma
                                                                 
Alla Scuola Superiore della Pubblica
            
                                                     Amministrazione
                                                                 
Roma
                                                                 
Agli Enti pubblici non economici
                  
                                               (tramite 
i Ministeri vigilanti)
                                                                  
Loro Sedi
                                                                 
Agli Enti pubblici
                
                                                 (ex 
art. 70 del D:Lgs n. 165/01)
                                                                 
Loro Sedi
                                                                 
Agli Enti di ricerca
            
                                                    (tramite 
il Ministero dell’istruzione
                                                                
dell’Università e della ricerca)
                                                                 
Roma
                                                                
Alle Istituzioni universitarie
                                                                
(tramite il Ministero dell’istruzione
                                                         
       dell’Università 
e della ricerca)
                                                                
Roma
                                           
e, p. c.          
Alla Conferenza dei Presidenti delle 
                                               
                 Regioni
                                                                
All’ANCI
                                                                
All’UPI
                                                                
Loro sedi
                        
stipula dei contratti. Regime fiscale e previdenziale.    Autonomia 
                        
contrattuale.
La 
pubblica amministrazione è stata, negli ultimi anni, protagonista di un processo 
di assimilazione all’impresa privata, pur nel riconoscimento della sostanziale 
differenza delle finalità perseguite, dal punto di vista delle logiche 
organizzative. Il mutamento della visione organizzativa dell’amministrazione ha 
comportato, da un lato, la contrattualizzazione del rapporto di lavoro dei 
propri dipendenti e, dall’altro, l’attribuzione alla dirigenza di un ruolo 
diverso, con la conseguente assunzione dei poteri del privato datore di lavoro 
nella gestione delle risorse umane, per giungere, anche, all’esercizio di tali 
poteri nell’ambito organizzativo vero e proprio.
         
Da ciò derivano il potere e l’onere attribuiti ai dirigenti di attendere 
all’organizzazione dei propri uffici e delle risorse loro attribuite, secondo la 
previsione dell’articolo 5 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, il 
quale prevede, al comma 2, che “Nell’ambito delle leggi e degli atti 
organizzativi di cui all’articolo 2, comma 1, le determinazioni per 
l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di 
lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità ed i 
poteri del privato datore di lavoro”.
         
In questo contesto, si è sviluppato il ricorso alle tipologie lavorative 
cosiddette “flessibili” ed alle collaborazioni esterne ex articolo 2222 del 
codice civile, come previste dall’articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 
165/2001 “Norme 
generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni 
pubbliche” e, per le 
amministrazioni locali, dall’articolo 110, comma 6, del decreto legislativo 18 
agosto 2000, n. 267, 
“Testo unico 
delle leggi sull'ordinamento degli enti locali”, anche al 
fine di rispondere agilmente a bisogni qualificati e temporanei senza per questo 
dover aumentare il numero del personale stabilmente in 
servizio.
         
L’attivazione di tali contratti non sempre è stata in linea con i 
principi dell’ordinamento e, in particolare, con quanto più volte dichiarato 
dalla giustizia contabile. La crescita del fenomeno e l’utilizzo improprio delle 
collaborazioni portano questa amministrazione ad intervenire con la presente 
direttiva, posto che già il legislatore in sede di legge finanziaria, art. 34 
della legge 27 dicembre 2002, n. 289 e art. 3 della legge 24 dicembre 2003, n. 
350, è intervenuto con disposizioni restrittive ai fini del contenimento della 
spesa (90% del triennio 1999-2001).
         
Per quanto concerne i rapporti di collaborazione coordinata e 
continuativa, si pongono all’attenzione delle amministrazioni diversi problemi 
relativi, in primo luogo, all’individuazione dei presupposti che legittimano il 
ricorso alla collaborazione, poi alla valutazione di eventuali tutele non 
previste dall’ordinamento che, però, possono essere introdotte nei singoli 
contratti in virtù dell’autonomia contrattuale attribuita ai contraenti e, in 
ultimo, alla corretta gestione degli adempimenti fiscali e 
previdenziali.
         
In relazione a quest’ultimo aspetto, è necessario ricordare come 
l’avvenuta assimilazione dei rapporti di collaborazione coordinata e 
continuativa al lavoro dipendente per gli aspetti fiscali, operata dall’articolo 
34 della legge 21 novembre 2000, n. 342, che ha modificato il testo unico delle 
imposte sui redditi, e che si riverbera anche sugli aspetti previdenziali, non 
incide sulla qualificazione giuridica del rapporto.
         
Infine, è opportuno in tale sede richiamare la recente riforma del 
mercato del lavoro, attuata dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, 
che ha introdotto la figura del lavoro a progetto con la finalità di arginare, 
nel settore privato, l’abuso delle attuali collaborazioni coordinate e 
continuative che per questa ragione andranno ricondotte alla modalità “a 
progetto” in ragione della autonomia del collaboratore.
Occorre, però, 
chiarire già adesso che il decreto legislativo citato, come già disposto dalla 
legge delega 14 febbraio 2003, n. 
Si rappresenta 
con l’occasione che lo scorso 5 marzo si è dato corso all’avvio del processo di 
armonizzazione con un atto di indirizzo all’ARAN per la stipula di un contratto 
collettivo nazionale quadro.
2. 
PRESUPPOSTI
            
La 
ricognizione sulla necessità che le amministrazioni verifichino l’esistenza dei 
presupposti che legittimano il ricorso ai rapporti di collaborazione coordinata 
e continuativa scaturisce dalla considerazione che il ricorso a tali tipologie 
contrattuali è sensibilmente aumentato. Da elaborazioni effettuate dall’ARAN[1] 
sui dati Si. Co. del Ministero dell’economia e delle finanze, relativamente 
all’utilizzo degli istituti di lavoro flessibile nelle pubbliche 
amministrazioni, per il biennio 2000-2001, sono emerse indicazioni significative 
sull’andamento del fenomeno, che è caratterizzato da una sensibile crescita 
della spesa nel 2002, rispetto a quella già alta registrata nel 2001. L’ampiezza 
della variazione può essere solo parzialmente giustificata dalla specificità del 
settore e delle funzioni esercitate, mentre deve sollecitare tutte le 
amministrazioni ad una attenta riflessione sulle scelte organizzative finora 
poste in essere.
Dalla lettura 
delle disposizioni di cui all’art. 7, comma 6, del decreto legislativo 165/2001 
e all’art. 110, comma 6, del decreto legislativo 267/2000, si evidenzia la 
possibilità di ricorrere a rapporti di collaborazione solo per prestazioni di 
elevata professionalità, contraddistinte da una elevata autonomia nel loro 
svolgimento, tale da caratterizzarle quali prestazioni di lavoro 
autonomo.
Come 
ricordato  in alcuni  precedenti pareri[2] 
dell’Ufficio per il personale delle pubbliche amministrazioni, l’elemento 
dell’autonomia dovrà risultare prevalente, poiché in caso contrario sarebbero 
aggirate e violate le norme sull’accesso alla pubblica amministrazione tramite 
concorso pubblico, in contrasto con i principi costituzionali (artt. 51 e 97 
Costituzione), principi ribaditi dalla Corte Costituzionale in diverse 
decisioni, nonché il principio, anch’esso costituzionale, di buon andamento ed 
imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97 Costituzione). Tale 
connotazione del rapporto di collaborazione è stata ravvisata, in più occasioni, 
anche dalla Corte dei Conti, Sezione controllo enti, che già nella deliberazione 
n. 33 del 22 luglio 1994, aveva rappresentato la necessità di evitare che 
l’affidamento di incarichi a terzi si traducesse in forme atipiche di 
assunzione, con la conseguente elusione delle disposizioni sul reclutamento e 
delle norme in materia di contenimento della spesa.
L’affidamento 
dell’incarico a terzi potrà dunque avvenire solo nell’ipotesi in cui 
l’amministrazione non sia in grado di far fronte ad una particolare e temporanea 
esigenza con le risorse professionali presenti in quel momento al suo interno. 
Al riguardo, soccorre nuovamente la consolidata giurisprudenza della Corte dei 
Conti, la quale ha ribadito l’impossibilità di affidare, mediante rapporti di 
collaborazione, i medesimi compiti che sono svolti dai dipendenti 
dell’amministrazione, proprio al fine di evitare una duplicazione delle funzioni 
ed un aggravio di costi.
I principi 
guida elaborati dalla Corte e, da ultimo, espressamente richiamati dalla Sezione 
giurisdizionale per il Veneto[3], 
relativamente alla eventualità di un danno erariale per affidamento di 
consulenze e delle correlate responsabilità, possono essere così riassunti quali 
condizioni necessarie per il conferimento degli incarichi:
§        
rispondenza 
dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione 
conferente;
§        
impossibilità 
per l’amministrazione conferente di procurarsi all’interno della propria 
organizzazione le figure professionali idonee allo svolgimento delle prestazioni 
oggetto dell’incarico, da verificare attraverso una reale 
ricognizione;
§        
specifica 
indicazione delle modalità e dei criteri di svolgimento 
dell’incarico;
§        
temporaneità 
dell’incarico;
§        
proporzione 
fra compensi erogati all’incaricato e le utilità conseguite 
dall’amministrazione.
Inoltre, deve 
ritenersi che tali condizioni debbano tutte ricorrere perché l’incarico possa 
essere considerato conferito lecitamente e senza incorrere nell’ipotesi del 
danno erariale. Tale necessità, oltre a rispondere alla ratio delle norme 
prima richiamate, è stata affermata esplicitamente dalla stessa Corte [4].
Gli 
elementi individuati dalla Corte dovranno risultare dal contratto, infatti, in 
ossequio alla regola generale in virtù della quale i contratti stipulati con la 
pubblica amministrazione debbono essere stipulati per iscritto, l’attribuzione 
di un incarico di collaborazione risulterà da atto scritto, nel quale saranno 
indicati l’oggetto della prestazione e la durata della collaborazione. Questa 
dovrà essere commisurata all’oggetto della prestazione e potrà essere 
determinata con precisione o per relationem. E’ ammissibile una proroga 
del contratto quando sia funzionale al raggiungimento dello scopo per il quale 
il contratto era stato posto in essere. Al riguardo, si ricorda che non si 
tratta di una proroga ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 
La necessità 
di ricorrere ad un incarico di collaborazione esterna, e nello specifico di 
collaborazione coordinata e continuativa, deve costituire, dunque, un rimedio 
eccezionale per far fronte ad esigenze peculiari per le quali l’amministrazione 
necessita dell’apporto di apposite competenze professionali. Infatti, 
diversamente, l’ordinamento ha fornito alle amministrazioni gli strumenti con i 
quali far fronte ad esigenze organizzative che esulino da tale eccezionalità e 
costituiscano, invece, delle necessità costanti. Infatti, queste sono obbligate 
ad  individuare i fabbisogni 
duraturi o frequenti nell’ambito di provvedimenti di analisi e programmazione 
triennale dei fabbisogni, nonché tramite l’aggiornamento periodico dei profili 
professionali in relazione ai mutamenti istituzionali e ai nuovi fabbisogni 
quando vengano ad assumere un carattere permanente. Tale necessità emerge anche 
dalle indicazioni della Corte dei Conti che ha avuto modo di sottolineare come 
la proroga del rapporto di incarico a personale esterno debba essere considerata 
una fattispecie assolutamente eccezionale [5].
Può essere 
utile, infine, nell’ambito della ricognizione delle professionalità esistenti 
all’interno dell’amministrazione, verificare la possibilità e la convenienza di 
formare o aggiornare personale interno sottoutilizzato o da riconvertire, in 
attuazione del principio guida che discende dalle finalità indicate 
dall’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n.165/01 e, in particolare, 
per “realizzare la migliore utilizzazione delle risorse 
umane”.
Pertanto, le 
procedure previste dai processi di progressione economica orizzontale e le 
procedure concorsuali attinenti le progressioni verticali dovranno tenere conto 
dei nuovi fabbisogni di professionalità che assumano le caratteristiche della 
permanenza e necessità.
3. OGGETTO 
DELL’INCARICO
Una 
particolare attenzione debbono porre le amministrazioni nell’individuare 
l’oggetto dell’incarico di collaborazione, ossia il contenuto della 
prestazione.
Pertanto, volendo con più precisione cercare di 
circoscrivere il campo delle attività che possono essere affidate ad esterni, si 
deve partire dall’articolo 7, comma 6, del decreto legislativo n. 165/2001, il 
quale si riferisce “ad esperti di provata competenza”, per giungere alla 
considerazione che deve trattarsi di prestazioni di elevata professionalità, 
quindi di prestazioni d’opera intellettuale da affidarsi, ad esempio, ma non 
solo, a coloro che esercitano un’attività per la quale è richiesta una 
abilitazione all’esercizio della professione e l’iscrizione in appositi albi, 
oppure di prestazioni di altro tipo non reperibili nel settore pubblico. 
         
Deve, 
poi, sottolinearsi come il rapporto di collaborazione, caratterizzandosi per 
l’assenza di un vincolo di subordinazione fra committente e prestatore d’opera 
e, quindi, nel senso dell’autonomia, impedisce che con tale strumento siano 
affidati i compiti di gestione e di rappresentanza, che costituiscono le 
attribuzioni tipiche dei funzionari e dei dirigenti della pubblica 
amministrazione, i quali sono, invece, in rapporto di subordinazione con il 
datore di lavoro-amministrazione e, pertanto, agiscono secondo gli indirizzi 
impartiti e gli obiettivi assegnati, rispondendo del loro operato “secondo le 
leggi penali, civili e amministrative” (art. 28 Costituzione), laddove nel 
caso dell’inadempienza contrattuale del collaboratore la sola conseguenza 
possibile sarà il recesso del committente secondo le norme generali (articoli 
1453, 2227 e 2237 c.c.).
Ad esempio, 
poiché il collaboratore coordinato e continuativo difetta del requisito 
indispensabile dell’incardinazione, in mancanza di una eventuale ed espressa 
procura, non potrà mai agire per conto dell’Amministrazione. Infatti, l’art. 417 
bis c.p.c. conferisce la rappresentanza in giudizio ex lege delle pubbliche amministrazioni 
nelle controversie di pubblico impiego ai soli “dipendenti” delle 
amministrazioni e, cioè, a tutti coloro legati da un vincolo di subordinazione 
ed incardinati nell’amministrazione da difendere. Pertanto, il soggetto esterno 
all’amministrazione agirebbe quale falsus 
procurator (per quanto riguarda la disciplina civilistica, cfr. artt. 1398 e 
1399 c.c.). 
         
Occorre 
ricordare, inoltre, come l’attribuzione di un incarico di collaborazione, al di 
fuori delle condizioni indicate dalla Corte dei Conti e delle fattispecie ora 
ricordate, comporti una serie di conseguenze a carico del dirigente che ne è 
responsabile. Infatti, costui potrebbe essere chiamato a rispondere, oltre che 
per l’eventuale responsabilità per danno erariale, anche per i profili attinenti 
alla  responsabilità amministrativa, 
nonché in sede civile qualora l’incarico abbia dissimulato un rapporto di lavoro 
dipendente, poiché l’ordinamento prevede la tutela risarcitoria nei limiti di 
cui all’art. 2126 c.c.  
4. ELEMENTI CARATTERISTICI 
DEL RAPPORTO
Come 
noto, il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa non trova una 
definizione specifica nel codice civile. La principale fonte normativa che 
soccorre in materia di collaborazioni coordinate e continuative è l’art. 409, c. 
3, del codice di procedura civile, il quale ha esteso la disciplina delle 
controversie individuali di lavoro ai rapporti di agenzia, di rappresentanza 
commerciale, nonché ad altri rapporti di collaborazione “che si concretino in 
una prestazione di opera continuativa e coordinata e prevalentemente personale, 
anche se non a carattere subordinato…”.
 Da tale noma ha preso spunto il dibattito 
dottrinale e giurisprudenziale sul c.d. lavoro parasubordinato e sulla sua 
definizione come categoria dotata di una propria autonomia concettuale rispetto 
alla classica dicotomia lavoro autonomo / lavoro subordinato. La stessa espressione 
“parasubordinazione” utilizzata dal legislatore, infatti, implica senza dubbio 
una affinità con il lavoro subordinato dal punto di vista socio-economico 
(sostanziale dipendenza dal datore di lavoro).
 Peraltro, una lettura sistematica delle 
fonti normative citate non può che ricondurre anche i rapporti di c.d. 
parasubordinazione al campo del  
lavoro autonomo, pur con tutte le peculiarità via via espressamente 
enucleate dallo stesso legislatore[6]. 
Ed invero, l’art. 409, c.3, c.p.c. colloca i rapporti di “collaborazione” 
nettamente al di fuori dello schema tipico del lavoro subordinato ex art. 2094 
c.c., tant’è che la giurisprudenza di legittimità è orientata ad attribuire 
rilevanza meramente processuale alla categoria della parasubordinazione, nel 
senso della esclusiva automatica applicabilità delle sole norme dettate per il 
lavoro subordinato in materia di competenza e di rito (ivi, ovviamente, compreso 
l’art. 429, 3 c., c.p.c.), e con esclusione delle norme sostanziali che 
disciplinano il rapporto di lavoro subordinato (si veda Cass. n. 2426/95, n. 
1459/97 e, da ultimo, Cass. n. 5941/2004, in tema di inapplicabilità dell’art. 
2126 c.c. alle prestazioni svolte in situazioni di autonomia, sia pure aventi le 
caratteristiche della parasubordinazione, potendo il lavoratore autonomo 
avvalersi unicamente dell’azione per indebito arricchimento). 
Venendo 
all’esame degli elementi caratteristici del rapporto, l’art. 409, c.3,  del c.p.c. individua i tre aspetti 
peculiari che caratterizzano il rapporto di collaborazione coordinata e 
continuativa che, in sintesi, possono così evidenziarsi:
§        
continuità, 
in contrapposizione alla occasionalità, quale prestazione che si protrae nel 
tempo e la cui durata deve essere definita in sede 
negoziale;
§        
coordinazione, 
che, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, è costituita dal 
vincolo funzionale tra l’opera del collaboratore e l’attività del committente e 
comporta una stretta connessione con le finalità di 
quest’ultimo;
§        
prestazione 
prevalentemente personale, in virtù della quale il ricorso a propri 
collaboratori risulta decisamente limitato.
Ai fini della 
presente nota, rileva anche la definizione normativa contenuta nell’art. 50, 
lett.c-bis, del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 
917, quando indica la prestazione di collaborazione coordinata e continuativa, 
nella specie:“A favore di un determinato soggetto, nel quadro di un rapporto 
unitario, con retribuzione periodica prestabilita”.
Il 
vero criterio distintivo del rapporto di lavoro in esame può essere individuato 
nella mancanza del vincolo di subordinazione, come risulta invece disciplinato 
negli articoli  2094, 2086 e 2104 
del codice civile. In tali disposizioni, la dipendenza del lavoratore 
subordinato dal proprio datore di lavoro ed il potere direttivo di questi 
assumono un ruolo primario. Le norme fanno espresso riferimento ad una 
subordinazione gerarchica che, per sua natura, rappresenta un vincolo 
strettamente personale che si riflette, nella normalità dei casi, in una 
limitazione della sfera di azione del lavoratore. Si tratta, quindi, di una 
limitazione al potere decisionale, organizzativo, di scelta, etc., del 
lavoratore subordinato in ordine all’attività dallo stesso svolta nell’ambito 
della realtà operativa in cui è inserito, che si manifesta attraverso le 
imposizioni fissate nell’esercizio del proprio potere direttivo dal datore di 
lavoro che riguardano diversi aspetti della prestazione lavorativa: 
determinazione dell’orario di lavoro, modalità di esecuzione della prestazione, 
controllo del rispetto delle regole impartite, comminazione di sanzioni 
disciplinari, etc., individuando concretamente i compiti e rendendoli, pertanto, 
esigibili.
In 
assenza di tali dirimenti criteri, si sarà in presenza di una prestazione 
lavorativa il cui titolare presta la propria opera senza vincolo di 
subordinazione. Ciò significa che il collaboratore non deve essere in alcun modo 
limitato nel proprio potere decisionale in ordine alla esecuzione del servizio 
prestato, sebbene il committente non possa essere totalmente estromesso da 
qualsiasi scelta che riguardi l’esecuzione dell’opera o del servizio pattuito 
potendo, invece, verificare e 
controllare le modalità di esecuzione delle attività affidate, al solo fine di 
valutare la rispondenza del risultato con quanto richiesto e la sua funzionalità 
rispetto agli obiettivi prefissati.
Tale 
attività  non deve essere trascurata 
perché attiene alla verifica dei risultati che debbono essere conseguiti ed alla 
valutazione sull’utilità della collaborazione.
 Sulla natura dei rapporti, se di lavoro 
autonomo o subordinato, soccorre anche la giurisprudenza della Corte di 
Cassazione, la quale, partendo dalla considerazione che il solo nomen 
iuris, quale esplicazione del principio dell’affidamento delle parti, non 
consente di identificare completamente la natura della prestazione, è giunta a 
fornire indicazioni concrete per l’individuazione della natura subordinata della 
prestazione.[7]
A ciò occorre, 
inoltre, aggiungere il fatto che il potere di coordinazione può variare di 
intensità, non potendo essere il medesimo per prestazioni diverse, al punto da 
doverne chiarire, di volta in volta, il contenuto.
         
Per quanto concerne, infine, la distinzione fra collaborazione coordinata 
e continuativa e prestazione occasionale è opportuno dare un’interpretazione 
sistematica dell’articolo 61 del predetto decreto legislativo 276/2003, al fine 
di individuare con precisione quest’ultima fattispecie. La circolare del 
Ministero del lavoro e delle politiche sociali (n. 1 dell’8 gennaio 2004) 
conferma come l’articolo 61 del decreto legislativo 276/2003 non è intervenuto 
sulla disciplina dettata dagli articoli 2222 e seguenti del codice civile, né 
“sostituisce e/o modifica l’articolo 409, n. 3, del codice di procedura 
civile, bensì individua, per l’ambito di applicazione del decreto, e nello 
specifico, della medesima disposizione, le modalità di svolgimento della 
prestazione del collaboratore, utile ai fini della qualificazione della 
fattispecie nel senso della autonomia o della 
subordinazione”.
Pertanto, il 
lavoro a progetto si caratterizza come un rapporto di lavoro peculiare rispetto 
allo schema tipico del lavoro autonomo, caratterizzato dal potere di 
coordinamento del committente, pur rimanendo al di fuori della cornice 
dell’articolo 2094 c.c.
 L’articolo 61, inoltre, limita la propria 
disciplina alla fattispecie individuata dall’articolo 409, c. 3 c.p.c., 
stabilendo che questi rapporti dovranno essere ricondotti alle diverse ipotesi 
del lavoro subordinato o del lavoro a progetto, salvo il caso in cui non ci si 
trovi nella fattispecie della prestazione meramente occasionale introducendo un 
dato quantitativo di identificazione relativo al numero di giornate lavorative 
presso lo stesso committente e all’entità del compenso percepito nell’anno. Tale 
disposizione produce, dunque, effetti sotto il profilo probatorio, poiché 
superati tali limiti il datore di lavoro dovrà, eventualmente, dimostrare che la 
prestazione resa era riconducibile alla categoria del lavoro autonomo in quanto 
mancavano i requisiti della continuità o personalità o inserimento funzionale 
ecc.. In altri termini, qualora un prestatore d’opera superi i limiti 
individuati al comma 2 del citato articolo 61 non necessariamente vedrà 
inquadrato il proprio rapporto di lavoro quale lavoro a progetto, o, in assenza 
degli elementi essenziali di tale schema contrattuale, quale lavoro subordinato, 
poiché invece potrebbe avere reso una o più prestazioni d’opera ai sensi 
dell’articolo 2222 c.c. e seguenti, oppure una prestazione di lavoro 
occasionale, la quale, pur rientrando nella categoria del lavoro autonomo (art. 
2222 e seguenti c.c.) costituisce fattispecie diversa dalla prestazione 
professionale o dall’esercizio di un’arte o dalla collaborazione coordinata e 
continuativa. Essa si caratterizza per la occasionalità e saltuarietà, tali che 
il compenso che ne deriva non può essere  
considerato la forma principale di reddito.  Infatti, il testo unico delle imposte 
sul reddito (art. 81, lettera l), D.P.R. 917/86) definisce i redditi 
occasionali quali quelli “derivanti da attività di lavoro autonomo non 
esercitata abitualmente”. La prestazione non viene effettuata, dunque, in 
maniera continuativa e l’attività del prestatore  non si coordina con i fini del 
committente. Pertanto, gli unici elementi in comune con la collaborazione 
coordinata e continuativa possono essere considerati l’assenza del vincolo di 
subordinazione e la libertà di organizzare la prestazione fuori da vincoli di 
orario.
         
Sempre in relazione 
all’articolo 61 ed alla fattispecie del lavoro a progetto, vale la riflessione 
che il legislatore ha voluto sottolineare come l’utilizzo di tali tipologie di 
prestazione debba essere agganciato al contesto organizzativo tipico delle 
aziende, in quanto la collaborazione deve inserirsi in specifici progetti, 
coincidere con essi o svolgersi al loro interno. Deve però aggiungersi che anche 
le pubbliche amministrazioni sono profondamente orientate da logiche 
programmatorie, finalizzate al controllo delle attività ed alla valutazione dei 
risultati, pertanto l’utilizzo delle collaborazioni esterne dovrebbe già 
naturalmente inserirsi nell’ambito di  
attività oggetto dell’indirizzo politico-amministrativo che trovano 
logica attuazione attraverso la definizione di obiettivi strategici ed obiettivi 
operativi. Pertanto, anche alla luce dei principi contenuti nel decreto 
legislativo 30 luglio 1999, n. 
          
Infine, anche per gli altri aspetti disciplinati nel citato articolo 61, 
va comunque ricordato come tali disposizioni non si applichino alle pubbliche 
amministrazioni ed al personale da esse dipendente, stante l’espressa e puntuale 
esclusione operata dall’art.1, c. 2, del decreto  n. 276/2003.
 
5. CONNOTAZIONE PARTICOLARE 
RISPETTO AL LAVORO SUBORDINATO
In primo luogo, non è possibile considerare un obbligo di 
prestazione oraria e il relativo controllo delle presenze. Se è pur vero che 
potrebbe essere necessario un inserimento del collaboratore nell’organizzazione 
del committente, poiché debbono essere garantiti uno o più risultati 
continuativi che si integrino in tale organizzazione, ciò dovrà comunque 
avvenire in presenza di una gestione autonoma del tempo di lavoro da parte del 
collaboratore. In altri termini, l’attività del collaboratore può anche 
svolgersi in un luogo diverso da quello nel quale opera l’organizzazione che fa 
capo al committente, venendo questi in contatto con l’organizzazione solo nei 
tempi utili allo svolgimento della sua collaborazione. Da ciò deriva che al 
collaboratore non può essere richiesta alcuna attestazione della propria 
presenza nei luoghi nei quali si svolge l’attività del committente. Infatti, il 
collaboratore non entra a far parte dell’organizzazione del committente e, nel 
caso in cui il committente sia una pubblica amministrazione, questi non può in 
alcun modo essere considerato un suo dipendente. 
Dalle 
considerazioni appena svolte deriva, quindi, l’impossibilità di attribuire 
giorni di ferie, trattandosi di un istituto tipicizzato nell’ambito del rapporto 
di lavoro subordinato. Emerge, da ciò, anche l’impossibilità, per il 
committente, di scegliere o programmare il periodo di riposo in maniera 
unilaterale, sebbene, a tal riguardo, nella convenzione di collaborazione 
potrebbe essere inserita la possibilità di sospendere la prestazione per un 
determinato periodo di tempo, soprattutto laddove il collaboratore utilizzi, per 
lo svolgimento della propria attività, le strutture, gli impianti e gli 
strumenti del committente, tanto nel rispetto del vincolo di non subordinazione, 
quanto nell’osservanza del principio di coordinamento con l’attività, gli 
obiettivi e l’organizzazione del committente.
         
Anche per quanto concerne l’attribuzione dei buoni pasto, le 
considerazioni già svolte debbono indurre ad una esclusione dei collaboratori 
coordinati e continuativi dalla titolarità di tale diritto. Come noto, 
l’erogazione di buoni pasto spetta al personale contrattualizzato dipendente 
della pubblica amministrazione  a 
fronte di un orario di lavoro articolato sui cinque giorni lavorativi ed in 
assenza di un servizio mensa o altro servizio sostitutivo presso la sede 
lavorativa (si veda l’articolo 2, comma 11, della legge 28 dicembre 1995, n. 
550, legge finanziaria 1996). Potrà, invece, essere previsto nel contratto un 
apposito rimborso spese, in quanto istituto tipico nei rapporti di lavoro 
autonomo, qualora ne ricorrano i presupposti.
         
Per 
quanto concerne le trasferte, l’assimilazione 
del collaboratore coordinato e continuativo operata dal Testo unico delle 
imposte sui redditi (sulla non estensione di tali effetti rispetto agli istituti 
tipici del lavoro subordinato si rinvia al paragrafo n. 7 della presente 
circolare relativo al trattamento fiscale) al lavoratore dipendente determina 
l’applicazione, a decorrere dal 1° gennaio 2001, delle regole sui rimborsi 
analitici valide per la generalità dei lavoratori dipendenti. La circolare 
ministeriale n. 207 del 16 novembre 2000 del Ministero delle finanze, dispone 
che “sarà applicabile anche ai rapporti di collaborazione coordinata e 
continuativa la disciplina delle trasferte contenuta nell’articolo 51, comma 5 
del TUIR, in ordine ai limiti oltre i quali le indennità di trasferta concorrono 
a formare reddito imponibile…..”. 
Riguardo 
l’ambito territoriale della trasferta, dal 1 
gennaio 2001, si fa riferimento alla sede di lavoro del committente, se questa è 
chiaramente identificabile dal contratto, o al domicilio fiscale del 
collaboratore, se non è possibile individuare in modo chiaro la sede di 
lavoro.
Tale 
posizione è confermata anche dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 58/E 
del 18 giugno 2001, laddove si afferma che: “La sede di lavoro è quella che 
risulta dal contratto. Di norma la sede di lavoro coincide con una delle sedi 
del datore di lavoro…………….nei casi in cui non è possibile individuare 
puntualmente la sede di lavoro né identificare tale sede con quella della 
società  (committente) è possibile 
far riferimento, ai fini dell’applicazione del comma 5 dell’articolo 51 del 
TUIR, al domicilio fiscale del collaboratore”.
Dall’analisi 
dell’articolo 51, comma 5, del Testo unico delle imposte sui redditi, le 
principali regole per la gestione dell’istituto della trasferta e dei rimborsi 
spese possono essere così riassunte:
1.     
trasferta 
fuori dal territorio del comune:
§      
l’indennità 
erogata in modo forfetario non concorre a formare il reddito nella misura 
massima giornaliera di € 46.48 (o € 
§        
il 
limite di esenzione di cui sopra è ridotto di un terzo nel caso in cui sono 
rimborsate: le spese di vitto o le spese di alloggio oppure il vitto o l’alloggio siano forniti gratuitamente; se 
le spese di vitto e alloggio sono rimborsate entrambe, allora il limite di 
esenzione si riduce di 2/3; nessuna riduzione deve essere operata nel caso in 
cui manchi il pernottamento per il fatto che la trasferta sia inferiore alle 24 
ore. Rimane naturalmente l’obbligo di ridurre di 1/3 la quota di esenzione nel 
caso in cui il vitto sia fornito gratuitamente o rimborsato (metodo rimborso 
misto);
§        
il 
rimborso delle spese documentate per vitto, alloggio, viaggio e trasporto, non 
concorrono a formare il reddito indipendentemente dall’ammontare (metodo 
rimborso a piè di lista o analitico);
§        
in 
alternativa, le altre spese rimborsate, anche non documentabili, non concorrono 
alla formazione del reddito, nel limite di € 15.49 al giorno (€ 25.82 per le 
trasferte all’estero);
2.     
trasferta 
nell’ambito del comune:
§        
le 
indennità o i rimborsi per le trasferte nell’ambito del comune concorrono a 
formare il reddito (fiscale e previdenziale), ad eccezione dei rimborsi spese di 
trasporto comprovabili con idonea documentazione proveniente dal vettore 
(biglietti dell’autobus, ricevuta taxi, ecc..). E’ interamente assoggettato a 
tassazione l’eventuale rimborso delle spese di trasporto effettuato attraverso 
la corresponsione di un’indennità chilometrica, in quanto manca la 
documentazione proveniente dal vettore.
6. AUTONOMIA 
CONTRATTUALE
         
 
         La 
non applicabilità alle “co.co.co” nel settore pubblico della riforma del lavoro, 
di cui al decreto legislativo 276/2003, pone due interrogativi di fondo: che 
tipo di tutela hanno oggi i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e 
continuativa con la pubblica amministrazione e quale sia il percorso giuridico 
attuabile per giungere a quella “armonizzazione” degli istituti necessaria e 
conseguente alla riforma del lavoro di cui al decreto legislativo citato (art. 
86, comma 8).
         Con 
riferimento al primo punto, va ribadito in questa sede che, anche con 
riferimento ai c.d. “co.co.co.”, la norma generale di cui al secondo comma 
dell’art. 36 del decreto legislativo 165/2001 impedisce a priori (indipendentemente 
dall’applicabilità senz’altro da escludersi del decreto legislativo 276/2003 
alla pubblica amministrazione) l’operatività di qualsivoglia meccanismo di 
automatica conversione del rapporto in rapporto di lavoro subordinato a tempo 
indeterminato, come invece stabilito per il settore privato dall’art. 69 decreto 
legislativo 276/2003. L’art. 36 citato, infatti, stabilisce che la violazione di 
disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da 
parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di 
rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche 
amministrazioni. 
         Ogni 
dubbio di incostituzionalità di detta disciplina che potrebbe sorgere sotto il 
profilo della violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione (diseguaglianza 
tra lavoratori privati e pubblici e violazione del principio di buon andamento 
della pubblica amministrazione) è stato definitivamente superato dalla Corte 
Costituzionale che, giudicando sulla costituzionalità dell’art. 36 cit. con 
riferimento alla analoga disciplina dei contratti a termine e della possibilità 
della loro conversione, in caso di stipulazione al di fuori dei presupposti e 
limiti di legge, in contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, 
ha  ritenuto infondata la questione 
ritenendo che, anche dopo l’intervenuta privatizzazione del rapporto di impiego 
dei pubblici dipendenti, permangono differenze tra il rapporto di pubblico 
impiego e quello di lavoro privato; in 
primis in materia di instaurazione del rapporto di lavoro pubblico, la cui 
disciplina è improntata al principio fondamentale, totalmente estraneo al 
rapporto di lavoro privato, dell’accesso mediante concorso, enunciato dall’art. 
97, comma 3, Costituzione, principio posto a presidio delle esigenze di 
imparzialità e buon andamento dell’amministrazione (cfr. Corte Costituzionale, 
sentenza 27 marzo 2003, n. 89).
         
Pertanto, anche con riferimento alla disciplina dei contratti di 
collaborazione coordinata e continuativa, la scelta del legislatore di 
ricollegare alla violazione di norme imperative riguardanti l’assunzione dei 
lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni (quale sarebbe l’automatica 
conversione del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa in rapporto 
di lavoro subordinato a tempo indeterminato) conseguenze diverse rispetto a 
quelle operanti nel settore privato risulta pienamente giustificata dalla 
disomogeneità della situazioni lavorative dedotte.
         In 
conclusione, la tutela attualmente accordabile al collaboratore delle 
amministrazioni pubbliche, nel caso di stipulazione del contratto al di fuori 
dei presupposti di legge, non potrà mai determinarsi la conversione in rapporto 
di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ma potrà estrinsecarsi 
esclusivamente in forma risarcitoria e cioè nei limiti di cui all’art. 2126 c.c. 
(e solo qualora il contratto di collaborazione abbia la sostanza del rapporto di 
lavoro subordinato, con conseguente diritto del lavoratore a tutte le differenze 
retributive e alla ricostruzione della posizione contributiva e previdenziale). 
In tal caso, si potrebbe certamente 
configurare una responsabilità amministrativa del dirigente che ha stipulato il 
contratto di co.co.co illegittimo, con addebito del danno erariale 
verificatosi.
 Sulla configurabilità in concreto di una 
siffatta responsabilità si rileva che: 
·        
per 
quanto riguarda la condotta del dirigente, è principio ormai consolidato che 
l’attribuzione ad esterni di incarichi rientranti nell’ordinaria attività 
dell’ente e  senza la preventiva 
individuazione delle specifiche (e temporanee) finalità da perseguire 
costituisca comportamento perseguibile ai fini della sussistenza della 
responsabilità amministrativa (cfr., ex 
plurimis, Corte Conti Sez. Puglia n. 244 del 
21.3.2003);
·        
con 
riferimento al dolo o alla colpa grave (art. 1, legge 14 gennaio 1994, n. 20), 
la consolidata giurisprudenza della Corte dei Conti (come già richiamata 
all’inizio) pone un limite netto e preciso alla utilizzabilità di incarichi di 
consulenza e collaborazione esterna, per cui non potrà certamente parlarsi di 
“errore professionale scusabile”  
(si veda Corte Conti, sez. Terza n. 24 del 28.1.2003, che ritiene la 
sussistenza di colpa di rilevante gravità da parte degli amministratori quando 
si tratta di incarichi concernenti l’assolvimento di normali compiti 
amministrativi; si veda, inoltre, Corte Conti sez. Lazio n. 2137 del 21.10.2003, 
che limita l’ammissibilità del ricorso ad incarichi esterni in caso di 
“necessità straordinarie che esulano dalle ordinarie conoscenze dell’ufficio” e 
di “manifesta insufficienza delle risorse interne a soddisfare la specifica 
esigenza”);
·        
maggiori 
problemi sorgono con riferimento alla sussistenza o meno del danno erariale ed 
alla sua quantificazione, dal momento che, utilizzando parametri prettamente 
civilistici, si potrebbe sostenere che, comunque, le somme dovute al 
collaboratore ex art.2126 c.c. (e cioè a fronte della provata illegittimità del 
contratto di co.co.co. perché si sostanzia, nei fatti, in un rapporto di lavoro 
subordinato vero e proprio) sono il corrispettivo di una attività lavorativa 
prestata in favore dell’ente, il quale se ne è comunque avvantaggiato. L’art. 1 
bis della legge 14 gennaio 1994, n. 20, infatti, stabilisce che nel giudizio di 
responsabilità, oltre al potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi 
comunque conseguiti dall’amministrazione. Va però detto come 
In 
conclusione, la posizione dei collaboratori coordinati e continuativi delle 
amministrazioni pubbliche è senz’altro più debole rispetto al settore privato, 
dove il decreto legislativo 276/2003 impone oggi condizioni di stipulazione 
assai più rigorose (prima fra tutte, la necessità di un progetto connesso 
all’incarico) e prevede il meccanismo (anche sanzionatorio per il datore di 
lavoro) della conversione automatica in rapporto subordinato a tempo determinato 
sin dalla data della stipulazione del contratto.
         
L’amministrazione, tuttavia, sia in virtù della propria funzione volta 
alla realizzazione di interessi pubblici, sia in virtù dell’espresso richiamo 
del legislatore (che nell’art. 86, comma 8, decreto legislativo 276/2003, 
demanda al Ministro per 
         
Senz’altro utile potrà essere una specifica ed analitica indicazione dei 
criteri da seguire anche in coerenza con quanto previsto dal decreto legislativo 
276/2003 e delle linee guida che emergono dalla copiosa giurisprudenza della 
Corte dei Conti in materia dalle Amministrazioni che vogliano utilizzare 
contratti di collaborazione coordinata e continuativa.
         Non 
potrà, invece, l’autonomia collettiva prevedere in linea di principio meccanismi 
di automatica conversione a sanatoria di situazioni pregresse o comunque 
verificabili, vigendo i limiti costituzionali nell’accesso per pubblico 
concorso, l’imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione 
sopra enunciati. Una clausola contrattuale di questo tenore sarebbe, infatti, 
nulla per violazione di norme imperative di legge ex art.1418 c.c. nonché per 
quanto previsto all’articolo 36, comma 2, del decreto legislativo 
165/01.
          
         
7. ADEMPIMENTI CONSEGUENTI ALLA STIPULA DI 
CONTRATTI  DI
    
COLLABORAZIONE COORDINATA E CONTINUATIVA
            
Le 
pubbliche amministrazioni che conferiscono incarichi di lavoro autonomo da 
svolgersi in forma coordinata e continuativa sono tenute, al pari dei 
committenti  privati, agli 
adempimenti di natura fiscale, previdenziale ed assicurativi previsti dalle 
rispettive discipline di settore.
         
Sono tenute, inoltre, in caso di instaurazione di rapporti di lavoro 
autonomo in forma coordinata e continuativa, a dare comunicazione contestuale al 
centro territoriale competente nel cui ambito territoriale è ubicata la sede di 
lavoro. In tale comunicazione sono indicati i dati anagrafici del lavoratore, la 
data di stipula e di cessazione del contratto, la tipologia contrattuale, nonché 
il trattamento economico e normativo, secondo le disposizioni contenute nel 
comma 2 del decreto legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito dalla legge 28 
novembre 1996, n. 608, come sostituito dall’articolo 6, comma 2, del decreto 
legislativo 19 dicembre 2002, n. 297. Riguardo alle richiamate modalità della 
comunicazione, si dovrà fare riferimento alle indicazioni che saranno a tal fine 
fornite dal Ministero del lavoro e delle politiche 
sociali.
         
Come noto, l’articolo 34 della legge 21 novembre 2000, n. 342, collegato 
fiscale alla legge finanziaria per l’anno 
         
Riguardo al nuovo regime, occorre, in primo luogo, ricordare come le 
modifiche riguardino il solo profilo fiscale senza incidere sulla disciplina del 
rapporto contrattuale. 
         
La nuova qualificazione fiscale comporta, da un lato, la cessazione della 
ritenuta fissa del 20% a titolo d’acconto dell’IRPEF e, dall’altro, il calcolo 
di una ritenuta operato sulla base delle aliquote progressive per scaglioni di 
reddito, contenute nell’articolo 11 del Testo unico delle imposte sui redditi, 
all’atto del pagamento del compenso. 
Ne discende, in sede di determinazione dell’imponibile fiscale, la non 
concorrenza dei contributi previdenziali (comma 2, articolo 51 del TUIR) e 
l’abbandono della deduzione forfetaria del 5 o 6 per cento; mentre, in sede di 
tassazione del reddito, si avrà l’applicazione degli scaglioni e delle aliquote 
IRPEF valide per i redditi di lavoro dipendente e l’applicazione delle 
detrazioni previste dagli articoli 13 e 14 del Testo unico delle imposte sui 
redditi, nonché delle deduzioni previste, dalla legge finanziaria per l’anno 
2003, all’articolo 10-bis (ora articolo 11).
         
Sempre relativamente all’aspetto fiscale, occorre ricordare come non si 
possano considerare rientranti nella fattispecie della collaborazione coordinata 
e continuativa le prestazioni tipiche di lavoro dipendente o quelle relative 
all’esercizio di una professione. Infatti, in quest’ultimo caso, laddove la 
prestazione sia riconducibile ad attività per le quali necessitano conoscenze 
tecnico-giuridiche che le facciano rientrare nell’esercizio di attività di 
lavoro autonomo esercitata abitualmente, i compensi così percepiti saranno 
soggetti alla disciplina fiscale relativa ai redditi da lavoro 
autonomo.
         
7. 2  TUTELA PREVIDENZIALE 
         
La legge di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e 
complementare, di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 
         
Il contributo, inizialmente dovuto nella misura stabilita dal comma 29 
dell’articolo 2 della legge 335/95, è stato successivamente rideterminato come 
indicato dall’articolo 51 della legge 23 dicembre 1999, n. 448, che ha 
modificato il comma 16 dell’articolo 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449. Il 
contributo continua, invece, ad essere determinato nella misura del 10% per 
coloro che siano iscritti ad altra gestione pensionistica obbligatoria o che 
siano pensionati. 
Attualmente, con la circolare INPS n. 56/2004, l’aliquota contributiva per 
l’anno 2004, appunto, è stabilita in 17,80% sino al limite di € 37.883,00 e al 
18,80% per la quota eccedente sino al massimale di € 82.401,00. L’aliquota 
prevista e quella aggiuntiva seguono sempre la ripartizione tra committente e 
collaboratore di 2/3 e 1/3, così come previsto dall’articolo 
1, comma 2, del decreto Ministeriale n. 281/1996, “Regolamento recante modalità 
e termini per il versamento del contributo previsto dall’articolo 2, comma 30, 
della legge 8 Agosto 1995, n. 
 Sempre per effetto delle disposizioni del 
comma 29, il contributo si applica sul reddito delle attività determinato con i 
medesimi criteri utilizzati ai fini dell’imposta sul reddito delle persone 
fisiche e, pertanto, 
il contributo previdenziale viene calcolato sul valore lordo del compenso, al 
fine di far coincidere la base imponibile previdenziale con la base imponibile 
IRPEF (Circolare INPS n. 32 del 7 febbraio 2001).
         
L’INPS, con la circolare n. 16 del 
         
La denuncia, da effettuarsi tramite i modelli predisposti dall’ente, 
dovrà contenere i dati identificativi del committente, il riepilogo dei 
versamenti effettuati durante l’anno, nonché i dati relativi al collaboratore ed 
ai contributi dovuti in relazione ai mesi per i quali è stato corrisposto il 
compenso.
 L’assimilazione dei redditi derivanti 
dalle collaborazioni coordinate e continuative ai redditi da lavoro dipendente 
si riverbera anche negli adempimenti previdenziali, infatti per effetto del 
mutamento di regime operato dall’articolo 34 della legge 21 novembre 2000, n. 
342 , tutti i riferimenti contenuti nelle disposizioni emanate anteriormente 
dovranno riferirsi ora all’articolo 50 del Decreto del Presidente della 
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
         
Il decreto del 
Ministero del lavoro e della previdenza sociale del 4 Aprile 2002, che ha 
abrogato il precedente decreto ministeriale del 27 Maggio 
L’assegno di 
maternità viene corrisposto alle 
lavoratrici, che possono far valere i seguenti requisiti:
§        
non 
essere iscritte a nessuna altra gestione previdenziale obbligatoria né essere 
pensionate;
§        
essere 
iscritte alla gestione separata, con il pagamento del contributo previdenziale 
addizionale dello 0,50% previsto per il finanziamento delle prestazioni per la 
maternità e dell’assegno per il nucleo familiare;
§        
vantare 
almeno tre mensilità contributive, accreditate nei dodici mesi precedenti i due 
mesi anteriori alla data del parto.
Inoltre, 
l’indennità di maternità:
§        
è 
comprensiva di ogni altra indennità spettante per 
malattia;
§        
spetta 
anche in caso di adozione o affidamento, per i tre mesi successivi all’ingresso 
nella famiglia del bambino che, al momento dell’affidamento o dell’adozione, non 
abbia superato i sei anni di età;
§        
spetta 
anche nei casi di adozione o affidamento preadottivo internazionale, per i tre 
mesi successivi all’ingresso del minore nella famiglia, anche se, quest’ultimo, 
abbia superato i sei anni di età e fino al compimento della maggiore 
età.
E’, 
inoltre, prevista anche l’indennità di paternità, sempre a partire dal 1 gennaio 
L’indennità di 
malattia per i periodi di degenza ospedaliera, prevista dalla legge n. 488/99 per gli 
iscritti alla gestione separata che versano il contributo aggiuntivo dello 
0,50%, a partire dal 1 gennaio 2000, è stata disciplinata dal Decreto del 
Ministero del lavoro del 12 gennaio 2001. Con tale decreto si stabilisce, 
appunto, sempre nel rispetto delle condizioni contributive previste per 
l’assegno di parto, la misura dell’indennità di malattia che va commisurata alle 
mensilità contributive accreditate. 
L’indennità 
spetta per ogni giorno di degenza presso strutture ospedaliere pubbliche e 
private accreditate dal Servizio Sanitario Nazionale ovvero presso strutture 
estere se autorizzate dal Servizio Sanitario Nazionale stesso; essa spetta, 
inoltre, fino ad un massimo di 180 giorni nell’anno 
solare.
L’assegno per il nucleo 
familiare è previsto dall’articolo 4 
del Decreto Ministeriale del 28 gennaio 1998, ai soggetti iscritti alla gestione 
separata INPS. L’assegno spetta in misura proporzionale al numero e al reddito 
dei componenti il nucleo.
Il 
reddito familiare da considerare è costituito dalla somma dei redditi di ciascun 
componente il nucleo, con esclusione dei redditi prodotti dai figli maggiorenni 
e del coniuge legalmente separato. Non devono, inoltre, essere considerate le 
rendite INAIL, le pensioni di guerra e l’indennità di accompagnamento degli 
invalidi civili. L’importo dell’assegno viene erogato in misura decrescente in 
rapporto agli scaglioni crescenti di reddito che annualmente vengono rivalutati. 
Pertanto, sono state disposte delle tabelle in base alle quali è possibile 
stabilire l’importo dell’assegno per varie tipologie familiari. L’assegno viene 
erogato per i mesi dell’anno che risultano coperti da 
contribuzione.
Tutte 
le indennità previste dall’INPS sono erogate, a richiesta del soggetto che ne ha 
diritto, inoltrando apposita domanda presso le competenti sedi 
INPS.
         
Le pubbliche amministrazioni che abbiano stipulato rapporti di 
collaborazione coordinata e continuativa debbono tener conto che tali 
collaboratori sono soggetti agli obblighi assicurativi qualora svolgano una 
delle attività previste dall’articolo 1 del Decreto del Presidente della 
Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, Testo unico delle disposizioni per 
l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, 
secondo quanto disposto dall’articolo 5 del decreto legislativo 23 febbraio 
2000, n. 38, pertanto sono tenute a tutti gli adempimenti posti a carico dei 
datori di lavoro dal citato Testo unico.
         
In pratica, si tratta delle attività già indicate nell’articolo 4 del 
Testo unico, integrate dalle attività nelle quali vi sia utilizzo non 
occasionale di veicoli a motore per l’esercizio delle mansioni 
affidate.
Il 
committente è tenuto alla denuncia di esercizio nella quale, oltre ad essere 
riportati tutti gli elementi utili alla valutazione del rischio, debbono essere 
indicati i nominativi dei collaboratori, la misura dei compensi e la durata del 
rapporto di collaborazione. Inoltre, provvederà al pagamento periodico del 
premio alle scadenze previste, alla eventuale denuncia di infortunio o malattia 
professionale, nonché alla denuncia di cessazione del rapporto di 
lavoro.
Il 
premio assicurativo è ripartito fra i contraenti nella misura di un terzo a 
carico del lavoratore e di due terzi a carico del committente ed è calcolato 
sull’ammontare dei compensi effettivamente percepiti. Poiché, come già 
richiamato in precedenza, l’articolo 34 della legge n. 342/2000 ha fatto 
transitare nella sfera dei redditi di lavoro dipendente i redditi derivanti 
dalle collaborazioni coordinate e continuative, la base imponibile ai fini 
assicurativi 
si 
è adeguata al nuovo inquadramento normativo riferendosi, 
attualmente, alle disposizioni contenute nell’articolo 
52 del Testo unico 
delle imposte sui redditi relative ai redditi assimilati a quelli da lavoro 
dipendente: “…è 
costituito da tutte le somme ed i valori in genere, a qualunque titolo percepite 
nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione 
al rapporto di lavoro”.
Ai 
fini dell’individuazione del tasso applicabile all’attività svolta dal 
lavoratore, si deve fare riferimento “a quello dell’azienda, qualora 
l’attività stessa sia inserita nel ciclo produttivo; in caso contrario, a quello 
dell’attività effettivamente svolta”. In altre parole:
§        
qualora 
l’attività del collaboratore sia riferibile ad una delle posizioni assicurative 
già denunciate dal committente, si applicherà il tasso in vigore per detta 
posizione;
§        
in caso 
contrario, si applicherà il tasso medio previsto per la corrispondente voce 
tariffaria prevista dalle tabelle INAIL.
Stante 
la formulazione della disposizione di cui all’articolo 5 del citato decreto 
legislativo 38/2000, deve ritenersi che i committenti siano tenuti all’obbligo 
di registrazione sui libri matricola e paga anche per i collaboratori coordinati 
e continuativi. In tal senso, si è espresso anche il Ministero del lavoro e 
della previdenza sociale, con nota del 2 gennaio 2001, nella quale è indicata la 
possibilità di semplificare la tenuta dei libri paga e matricola per tali 
lavoratori, considerata la particolarità della prestazione non riconducibile a 
quella del lavoro dipendente.
La presente 
direttiva è inviata all’Ispettorato per la funzione pubblica, al quale è 
demandata dall’ordinamento vigente l’attività di vigilanza e verifica della 
conformità dell’azione amministrativa ai principi di imparzialità e buon 
andamento, nonché dell’osservanza delle disposizioni vigenti sul controllo dei 
costi, dei rendimenti e dei risultati, ai sensi dell’articolo 13, comma 1, del 
D.M. 30 dicembre 2002, recante Organizzazione interna del Dipartimento della 
funzione pubblica.
         
                            
                        
                                
IL MINISTRO
                                                                  
     
[1] 
Si veda il sito www.aranagenzia.it “Gli istituti di lavoro 
flessibile nella pubblica amministrazione  
e nelle autonomie locali. Indagine quantitativa sul biennio 
2000-
[2] Si veda il sito www.funzionepubblica.it alla voce lavoro pubblico
[3] Si veda Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per il Veneto, 3 novembre 2003, n. 1124/2003 su Giornale di diritto amministrativo n. 1/2004. Sui medesimi principi si rinvia, inoltre, a: Corte dei Conti, Sez. I, 18 gennaio 1994, n.7; Sez. I 7 marzo 1994, n. 56; Sezioni Riunite, 12 giugno 1988, n. 27; Sez. II 22 aprile 2002, n. 137; Sez. controllo enti, 22 luglio 1994, n. 33.
[4] Corte dei Conti, Sezioni Unite, 12 giugno 1988, n. 27.
[5] Corte dei Conti, Sez. contr. Enti, 28 aprile 1992, n. 19
[6]  Per i richiami normativi sui rapporti di 
collaborazione coordinata e continuativa via via susseguitisi, si vedano 
principalmente: L.335/95 (c.d. Riforma DINI del sistema previdenziale), che ha 
incluso tale categoria di lavoratori tra quelli tenuti ad iscriversi (in 
mancanza di altra copertura previdenziale) alla gestione separata di cui 
all’art.2 (c.d. quarta gestione INPS: art.3, comma 26), prevedendo un’aliquota 
previdenziale inferiore a quella vigente per i rapporti di lavoro subordinato 
(10% iniziale poi destinata a crescere fino al 20%, mentre quella normale 
oscilla intorno al 33%); - L.449/97 (art.59, comma 16), che ha esteso ai 
collaboratori autonomi iscritti alla gestione separata di cui sopra anche le 
prestazioni dell’assegno per maternità e dell’assegno per il nucleo familiare; - 
L. 448/99 (prestazioni anche in caso di malattia con degenza 
ospedaliera); - d.lvo 38/2000 (art.5: obbligo per i datori di lavoro di 
denunciare i lavoratori parasubordinati all’INAIL, per estendere anche a loro la 
tutela dell’assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro); - L. 
342/2000, che ha previsto l’assimilazione dall’1.1.2001 dal punto di vista 
fiscale dei redditi parasubordinati a quelli da lavoro dipendente, con la 
possibilità di beneficiare delle detrazioni e delle esclusioni dalla formazione 
della base imponibile previste per i dipendenti nonché la valutazione omogenea 
anche dei compensi in natura.
[7] Si veda Cassazione Sez. Unite Civili, sent. n. 61 del 13 febbraio 1999.
[8] cfr. Corte Conti, sez. riun. 18.12.1996 n.80/a su Rivista Corte conti 1997, fasc. 1. 67, Foro amm. 1997, 1834