Cassino/Da capo della segreteria 
amministrativa era stato assegnato ad un ufficio dove eseguiva quattro addizioni 
al mese Funzionario pagato per non 
lavorare Asl condannata dal giudice dopo la 
denuncia del dottor Tomasso 
di ALESSIO PORCU  
Lo pagavano per non lavorare. L'Azienda Sanitaria Locale di Frosinone ha versato per circa due anni 
uno stipendio di tre milioni e 800 mila lire al mese al dottor Giuseppe Tomasso, 
incaricato di eseguire un'addizione a settimana. In pratica doveva prendere 
l'importo degli incassi settimanali di ogni addetto alla riscossione dei ticket, 
sommarli e controllare che il totale già calcolato dagli impiegati fosse esatto. 
Per assegnargli quel compito, lo avevano spostato dal suo incarico di "capo 
della segreteria del direttore amministrativo" nel distretto Asl di Cassino. Lo 
avevano trasferito dalla sua stanza di comando (nella quale lavorava da sei 
anni) ad uno sgabuzzino di due metri quadrati. Il caso è venuto alla luce ieri 
mattina quando il giudice Rosalba Di Giulio di Cassino ha esaminato l'esposto 
presentato dall'avvocato Giorgio De Santis per conto del dottor Tomasso: mentre 
tutti denunciano di lavorare troppo e di essere pagati poco, lui ha rivelato di 
essere stipendiato per fare nulla. E il magistrato ha condannato la Asl, 
giudicandola colpevole di "dequalificazione professionale". In pratica il 
dottor Giuseppe Tomasso era diventato il bersaglio delle battute da parte dei 
colleghi. Inutili le sue richieste inoltrate al direttore di distretto affinché 
lo facesse "tornare a guadagnare con dignità il mio stipendio": venivano 
archiviate; nemmeno il ricorso al direttore generale dell'epoca Nicola Pugliese 
aveva risolto il caso. Nel giro di qualche mese era caduto in depressione. A 
rendere più profonda l'amarezza c'era la voce che girava tra gli altri 
funzionari e ripetuta davanti al giudice quando li ha chiamati a testimoniare: 
"il ridimensionamento del dottor Tomasso era un dispetto scattato con l'arrivo 
del nuovo direttore, veniva punito non perché incapace ma in quanto ritenuto 
molto vicino al vecchio dirigente". Il giudice ieri ha stabilito che "il 
dipendente che, seppur mantenuto ufficialmente in servizio e regolarmente 
retribuito dall'azienda, venga lasciato in una situazione di inattività forzata 
e venga isolato nel luogo di lavoro, subisce una evidente dequalificazione 
professionale". Per questo ha condannato la Asl a reintegrare il dottor Tomasso 
"nelle mansioni della sua qualifica ed a risarcirgli i danni subiti per essere 
diventato oggetto di scherno nell'ambiente di lavoro". Il conto presentato alla 
Asl dall'avvocato Giorgio De Santis ammonta a settanta milioni. E non è 
tutto: "Denunceremo il caso alla Corte dei Conti - annuncia il legale - affinché 
individui il responsabile di questo doppio danno alle casse dell'azienda: il 
primo danno consiste nel mancato utilizzo delle capacità del dipendente, il 
secondo è rappresentato dal risarcimento che dovrà essergli corrisposto. 
Qualcuno dovrà restituire alla Asl le somme che sono state perse a causa di 
questa storia, nata da una gestione del personale, a dire poco, 
insolita". Al momento di quantificare il risarcimento, il giudice ha 
applicato, per la prima volta in Ciociaria, un nuovo principio giuridico 
stabilito un mese a dalla Cassazione: in pratica la Asl non aveva contestato le 
richieste economiche fatte dal dottor Tomasso e allora il magistrato le ha 
applicate in pieno. Finora, invece, era prassi usuale rimandare la 
quantificazione del risarcimento ad un successivo processo.  
    
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